3 – CONTINUAZIONE MEMORIE

Vicende di un monastero (3/3)

delle memorie sul monastero (di una badessa d’inizio ‘900)


Il Monastero di S. Antonio prosperava già da quasi due secoli 
(1)  e le Monache, aggregatesi all’Ordine Domenicano, vi conducevano la propria specchiata esistenza, quando Dio, nei suoi disegni imperscrutabili, permise che la Chiesa e specialmente gli ordini regolari, soffrissero, in gran parte del mondo cattolico, la più ostinata persecuzione. Dalla Francia si propagò in Italia, dove, lo stesso Stato Pontificio fu assoggettato alla comune sciagura.
Napoleone, eletto Imperatore dei Francesi (1804) e Re d’Italia (1805), usurpato il Dominio temporale della Chiesa (1808), proibì a chiunque, la Professione dei Sacri Voti; condusse in schiavitù lo stesso Pontefice ed i più alti Prelati della Chiesa e infine, con decreto del 25 Aprile 1810, obbligò le Suore e tutti i Claustrali ad uscire dai loro Conventi. Rimase quindi deserto anche il Monastero di questa Città, assieme agli altri monasteri di Pietrarubbia, di Macerata Feltria, di S. Agata e di Montecerignone.
Sciolte così le Comunità Religiose, alcune Suore rientrarono in seno alle proprie famiglie, altre trovarono asilo presso persone affidabili, in devota attesa del lieto giorno in cui il Signore avrebbe allontanato la momentanea tempesta.

Giunse poi, secondo i disegni della Divina Provvidenza, il felice tempo (1814) della riapertura dei Sacri Chiostri, con l’immortale Pio VII: Gerarca Supremo della Chiesa, era reduce dal lungo esilio coi Cardinali e i Vescovi, tra i quali merita speciale menzione il Pastore di questa Diocesi, Monsignor Antonio dei Conti Begni, che, appena giunto nella sua Sede, si prefisse come compito primario quello di ristabilire gli Ordini Religiosi del Montefeltro, nominando una Congregazione di scelti Cardinali perché proponessero il più utile espediente per raggiungere sì lodevole scopo. Sorsero purtroppo difficoltà gravissime per cui non poté subito esaudire i pii desideri del Pontefice.
Intanto, però Monsignor Antonio Begni, chiamata dalla casa materna Madre Teresa Margherita Cavalieri, ultima Badessa del Monastero di questa Città e sentite le Religiose della sua Diocesi, si adoperò con tutte le forze per ridare nuova vita ai Chiostri delle Monache già chiusi, devastati e manchevoli di ogni suppellettile.

Ritenne di dover escludere dal progetto di riapertura, per l’infelicissima ubicazione e per la mancanza dei conforti più necessari ad una Comunità, il solo Monastero di S. Giovanni Battista di Pietrarubbia, lodato, peraltro, sin nelle più antiche relazioni di visita dei Vescovi Feretrani.
Monsignor Begni, poi, solerte Pastore, per dare nuovo asilo alle Monache di detto Monastero, di cui un buon numero, rispetto al nucleo preesistente, era ancora in vita, decise di unirle alle poche superstiti di S. Antonio della Penna.
Le Monache Domenicane di Pennabilli e le Agostiniane di Pietrarubbia non potevano, però, nonostante la fusione conventuale, praticare 2 Regole diverse nell’ambito dello Stesso Monastero. Fu deciso quindi, col consenso unanime delle Religiose e con licenza del Sommo Pontefice, accordata mediante un rescritto dalla S. Congregazione dei Regolari, datato 14 Giugno 1816, che si osservasse la Regola Agostiniana già professata dalle Religiose di Pietrarubbia, le quali costituivano la maggior parte delle Suore riunitesi nel Monastero di Pennabilli.
Così predisposte le cose, Monsignor vescovo, col consenso della S. Commissione appositamente deputata, stabilita la dotazione per il mantenimento delle Suore, ordinò i necessari restauri alla fabbrica del Convento, affidando alla suddetta Madre Teresa Margherita Cavalieri la cura di riportare tutto allo stato primitivo e di recuperare gli Arredi Sacri della Chiesa da chi li deteneva, per acquisto fattone o per concessione d’uso – dopo che la menzionata Badessa ebbe, con piena soddisfazione del Vescovo, superato il difficile incarico, si unirono nel Monastero di S. Antonio 24 Suore:
Teresa Margherita Cavalieri – Anna Teresa Venturini – Reginalda Venturini e Lucrezia Ciacci, già coriste Domenicane alla Penna, Nicola Ferri – Maddalena Balducci – Serafina Capelli – Cecilia Salvi – Anna Maria Santinelli – Giovanna Bagnolini – Luigia Biandi – Crocefissa Forduna – Colomba Carigi e Annunciata Carigi, coriste Agostiniane in Pietrarubbia, inoltre, 10 converse e cioè Vincenza Mazzarini – Lucia Mariani – Gioseffa Agostini – Fortuna Vedini – Caterina Vedini Maddalena Petrucci, Domenicane; Rosa Menghini – Teresa Muccioli – Caterina Fabbri – Chiara Lattanzi, Agostiniane.

Il giorno 28 Agosto commemorativo del Santo Vescovo e Dottore della Chiesa Agostino, la cui Regola si sarebbe stabilita nel Monastero di Pennabilli, fu scelto per la vestizione delle Converse e per la professione dei Voti.

Le religiose si prepararono alla nuova, solenne vestizione con un ritiro di dieci giorni, impiegati in Santi Esercizi e, con un devoto Triduo, alla festa del Santo Patriarca ed alla Funzione Religiosa.

Giunto poi il lietissimo giorno, Monsignor Vescovo si portò alla Chiesa del Monastero e, celebrata la Santa Messa, lesse un’analoga, elegante Omelia, dopodiché vestì dei sacri abiti, benedetti il giorno precedente, le fervorose Vergini e ricevette dalle religiose che prima erano Domenicane la promessa giurata di osservare da allora in poi la Regola dell’Ordine di S. Agostino, vivendo in perpetua clausura e, dale altre, già Agostiniane, la conferma della loro primitiva Professione.

Compiuto così il Sacro Rito, Monsignor Vescovo assistette alla elezione delle Madre Abbadessa e Vicaria. Mediante uno scrutinio segreto risultò Superiora la Madre Teresa Margherita Cavalieri, che era già badessa del Monastero prima della soppressione e, con uguale, concorde partito, risultò Vicaria la Madre Nicola Ferri, già Abbadessa in Pietrarubbia.

Benedette l’una e l’altra dal Pio Prelato, la funzione terminò con l’Inno Eucaristico.

Per seguire poi la chiara volontà del Sommo Pontefice, fu stabilito che tutte le Religiose, presenti e future, abbracciassero la “Vita Comune” per “maggior perfezione” delle sacre vergini, alle quali, Monsignor Vescovo accordò il favore della S. Comunione quotidiana. Nella seguente solennità di Ognissanti, fu invece il Confessore Ordinario del Monastero che vestì delle Sacre Lane le Religiose corali Mariangela Laghi e Fortunata Sandini, del soppresso Monastero di Pietrarubbia, che, per indisposizione di salute, non poterono prima unirsi alle altre Consorelle.

Nel 1860 il governo Piemontese, invaso lo Stato Pontificio, costituì il Nuovo Regno d’Italia. Il Commissario per le Marche, Lorenzo Tiraleno, con decreto del 3 gennaio 1861 ordinava la soppressione degli Ordini Religiosi e l’incameramento dei loro beni. Il Parlamento di Firenze confermava, poi, tale ordinanza con le Leggi del 22 Giugno e 7 Luglio 1866.
Anche il Nostro Monastero, quindi, retto dall’Abbadessa Madre Maria Antonia Begni, fu spogliato di tutti i suoi beni (2).
La Comunità si ridusse così ad uno stato di estremo bisogno, costretta a vivere, quasi esclusivamente con le miserevoli pensioni (£. 29,70 mensili), assegnate alle Monache già professe.
Inoltre, il fabbricato stesso del Monastero (confiscato fin dal 1861, inventariato di tutto ciò che conteneva da un delegato di Pubblica Sicurezza che, accompagnato da altre persone, violò la Clausura e vi fece irruzione), poté essere abitato solo dalle Monache già professe. Tale concessione, ottenuta dietro domanda delle Monache, come prevedeva la legge, sarebbe cessata con la morte dell’ultima Religiosa, essendo il fabbricato proprietà del Demanio che ne pagava i restauri e le spese di ordinaria manutenzione.

Accadde poi che l’Intendenza di Finanza di Pesaro, mentre dal 16 gennaio 1891 erano ancora viventi 6 Monache Professe, chiese al Municipio di Pennabilli l’elenco delle Religiose esistenti in Convento per concentrarle, con le Francescane, nel Convento di S. Chiara di S. Agata Feltria.
Per compilare tale elenco le Monache senza pensione dovettero vestirsi da secolari per figurare come inservienti delle altre. Si sollevò una lunga controversia riguardo Suor Raffaella Mazza e Suor Chiara Muti che si dissero professe; si ricompose la questione quando si dichiarò che avevano già professato prima della soppressione, ma senza ufficialità e solennità, nei giorni precari della mutazione del Governo. Intanto, con l’aiuto del Signore, restava fermo anche il progetto di concentramento a S. Agata. Infatti l’intendenza di Finanza chiese al Municipio di Pennabilli (22 Aprile 1891) se, come la legge prevedeva, volesse ottenere la cessione del Monastero.

Le clausole inerenti ne prevedevano l’uso al solo scopo di pubblica utilità e, se si riteneva necessario per motivi d’umanità, di destinarne una parte ad abitazione delle anziane Monache. Il 9 maggio dello stesso anno il Consiglio Comunale esprimeva voto favorevole su ambedue le proposte.

Morivano nel frattempo tutte le Monache pensionate, l’ultima delle quali, Suor Teresa Reali, si addormentava nel Signore il 10 Agosto 1892. Di tale decesso, tuttavia, a causa del disordine regnante negli uffici governativi, non si prese atto per lungo tempo; così le altre Monache poterono vivere indisturbate nella loro casa mentre il Comune trattava col Fondo Culto, con l’Intendenza di Finanza e col Ricevitore del Registro di S. Leo l’affare della cessione che andava per le lunghe in quanto il canone annuo di £. 5 per l’orto era ritenuto esoso; il Comune chiedeva, inoltre, che il contratto prevedesse il diritto di alienazione e la libertà di ogni restrizione.

Il diritto d’alienazione, nel caso in questione, era piuttosto controverso, dato che alcune sentenze giurisprudenziali dissentivano dalla legge che lo escludeva; era invece tassativa la regola che nei capitolati di vendita si doveva inserire la clausola che gli acquirenti degli ex Monasteri non potevano destinarli ad abitazione di qualsiasi Congregazione religiosa soppressa. Il Comune di Pennabilli avanzava queste richieste col lodevole scopo di conservare alle Agostiniane il loro Monastero. Identico proposito aveva espresso, all’inizio del 1894, il nostro grande protettore, zio della nostra Suor M. Giuseppa Giannotti, signor Giovanni Giannotti che aveva chiesto di acquistare il fabbricato. Ma l’intendenza di Finanza il 9 Maggio 1896 dichiarava di troncare ogni trattativa col Municipio giudicando inaccettabili le sue richieste e di rendere esecutiva la proposta di concentrare le Monache a S. Agata. Solo la promessa tempestiva (12 Maggio 1896) di tornare sulle proprie deliberazioni consentì al Municipio di scongiurare tale pericolo.

Nuovo motivo di timore si ebbe il giorno dopo (l3 maggio 1896), quando, dopo accordi presi col demanio, giungeva a Pennabilli Suor Maria Giuseppina dell’Immacolata, al secolo Maria Baronessa Fabiano, napoletana, fondatrice delle Suore di Maria Immacolata, col proposito di ottenere il fabbricato del Monastero per sé e le sue Suore.

Conquistato l’animo dei Superiori Ecclesiastici, visitò il Monastero ed espose il suo progetto di concederne una piccola parte alle Agostiniane rimaste, riservando per sé i locali migliori. Persuase, purtroppo anche molte persone della città, mentre le monache Agostiniane in lacrime, continuavano a confidare nel Signore, che non le abbandonò ma volse nuovamente a loro favore l’animo dei Superiori, mossi anche dalla fermezza di Suor M. Giuseppa Giannotti che si dichiarava pronta a trasferirsi piuttosto in altro Convento, portando con sé la propria dote, che costitutiva ormai la parte più sostanziosa dei beni della Comunità.

Coi superiori, a poco a poco, anche la cittadinanza, sempre affezionata alle Monache ed alla badessa Suor Raffaella Mazza, mutò parere, tanto che, tornata di nuovo Suor M. Giuseppina Fabiano, subito capì che il favore incontrato precedentemente era del tutto svanito.

Si riprendevano intanto le trattative fra il Comune ed il Fondo Culto che l’8 Giugno 1896 presentava una nuova bozza di contratto nella quale si imponeva al Municipio l’obbligo di mantenere aperta al culto la Chiesa e di sostenerne le spese; si escludevano dalla cessione i mobili e gli oggetti d’arte, di cui si concedeva il solo uso.

Si concedeva anche ospitalità, in una parte del fabbricato, alle Monache pensionate (che si credeva fossero ancora in vita), sottraendole, per la loro grave età, al decreto di concentramento in S. Agata Feltria. Nella suddetta bozza veniva concesso, finalmente, anche il diritto di alienazione libero da ogni altra restrizione, tranne quella, chiaramente specificata, che vietava l’uso dell’immobile come sede di una Congregazione religiosa disciolta.

II Comune accettò, in linea di massima, tutte le proposte ma, purtroppo, dovevano passare ancora molti anni prima di ottenere tutte le approvazioni necessarie, alcune delle quali venivano negate proprio perché dalla loro stessa formulazione emergeva con troppa evidenza il proposito di vendere.

Intanto l’Intendenza di Finanza, venuta a conoscenza che tutte le Monache pensionate erano morte, ordinava al Ricevitore del Registro di S. Leo di riprendere possesso del fabbricato. Iniziano così per le povere Monache, gli ordini di sfratto che si ripeterono ben 4 volte, con l’ingiunzione di abbandonare la loro sacra dimora entro 60 giorni e la minaccia di far loro pagare l’affitto per il tempo che erano rimaste in Convento. Anche questa volta la benevolenza del Cielo allontanò il gravissimo pericolo: vegliavano, allora alla salvezza del Monastero, l’operosissimo Confessore e Sindaco Don Luigi Ricciardelli e il fedele fattore Cristoforo Farneti. Riuscirono sempre a scongiurare gli sfratti, prima ancora che ne fossero informate le stesse Monache.

Furono assecondati in questa pia operazione dai Consiglieri di Pennabilli, quasi tutti favorevoli alle Monache e dall’interessamento di persone importanti come il Signor Bravura dell’Intendenza di Finanza di Pesaro, senza risparmiare fatiche, viaggi, spese, ansie e dispiaceri per tale caritatevole causa. Ogni volta, dopo qualche giorno di tensione angosciosa, passato tra lettere e telegrammi, ebbero sempre la consolazione del trionfo, riuscendo con risposte sibilline a far credere ai superiori che nel Convento non ci fossero più Monache. Il 12 Dicembre 1906, ad esempio, veniva richiesto se vi fossero ancora “Suore di carità” e quante.

Si poté rispondere semplicemente e senza menzogna che non ve n’era alcuna.
Si viveva così in continua altalena e talvolta giungevano colpi dolorosi come quello del Decreto Reale del 20 Maggio 1897 che imponeva la chiusura della Chiesa, provocata da un’affermazione del locale Tenente dei Carabinieri che, interpellato in proposito, rispose senza troppo riflettere “non essere essa necessaria per la popolazione”. Suggerì poi, utilmente, che per la riapertura si facesse un’istanza popolare.

Si avvicinava, tuttavia, il giorno del trionfo.
Il 29 Dicembre 1897, il Consiglio Comunale deliberava di accettare l’offerta del fabbricato del Monastero fatta dal Fondo Culto; di fare istanza presso i superiori per ottenere la facoltà di alienarlo (come da “bozza di contratto” proposta l’8 Giugno 1896), con promessa di usare il denaro ricavato a scopo di pubblica utilità, facendo rilevare che il cattivo stato dell’edificio avrebbe addossato al Comune un grave onere manutentivo; di vendere di fatto, appena ottenutone il permesso, Convento ed orto a Giovanni Giannotti affinché vi potessero restare le Suore, cui, nello stesso Atto Consigliare venivano rivolti non pochi elogi.
Tale fatto fu approvato in ogni sua parte dalla Giunta Provinciale Amministrativa il 29 Aprile 1898, con la sola clausola che il ricavato si erogasse in opere di pubblica utilità.

In seguito a tale approvazione, il Fondo Culto, considerando che sarebbe stato difficile disfarsi altrimenti dell’edificio, il cui valore era ormai stimabile quasi a livello di materiale, concesse i richiesti permessi di alienare. Il Comune stipulò il contratto di cessione con scrittura privata che fu poi autenticata dal Notaio Giovannini di S. Leo, il 22 Novembre 1898 e approvato con decreto del Ministro di Grazia e Giustizia il 14 gennaio 1899.

Disgraziatamente, con esagerato ottimismo, si ritenne che la faccenda fosse conclusa senza affrettarsi all’acquisto effettivo e definitivo, per cui le sfortunate Suore dovettero, per amore del Signore, affrontare un’ultima, dolorosa prova.

Il 5 Gennaio 1900, il Prefetto di Pesaro respingeva l’istanza della popolazione per la riapertura della Chiesa ed avendo saputo che il Comune, contravvenendo alle disposizioni di legge, permetteva ad alcune Monache di rimanere nel Monastero, ne ordinava lo sfratto esecutivo. Fu provvidenziale, in tale frangente, l’oculatezza ed il favore del Sindaco G.B. Valentini e delle altre autorità che, in perfetto accordo, informando la Prefettura della necessità che la Chiesa fosse riaperta al Culto, ne ottennero l’immediata autorizzazione.

Il Sindaco suddetto, inoltre, in soli 5 giorni concluse con le Monache il contratto di vendita del Monastero per 1.500 Lire, più 800 di rimborso tasse pagate dal Municipio, più le spese di contratto. L’istrumento fu stipulato l’11 Gennaio 1900, con rogito del Notaio Ambrogio Manduchi, nel parlatorio del Monastero. Figurarono acquirenti 5 Monache coi loro nomi secolari, non ritenendosi più necessario l’intervento di Giannotti (3).
Si poteva finalmente ringraziare il Signore che aveva preparato il trionfo di un’impresa così travagliata e laboriosa. Lo fecero con gioia le Monache che dopo tanti timori, vedevano riaprirsi un nuovo periodo di vita feconda per il loro Monastero e, molto più, Lo ringraziarono le 6 novizie (4) che il 28 Agosto 1900 poterono, dopo lunga attesa, vestire le sacre lane; prima seminagione, poi seguita da tante altre, che, con l’aiuto di Dio, avrebbe riportato il Monastero all’antico splendore.

NOTE A PIE’ PAGINA:

(1) Per l’esattezza è utile ricordare che dall’Aggregazione all’0rdine Domenicano (1624), al Decreto Napoleonico di espulsione claustrale (1810), intercorrono esattamente 186 anni. Per ricapitolare la cronologia religiosa del Monastero elenchiamo in successione i vari Ordini di appartenenza delle Monache di Pennabilli:
-Umiliate (1517-1571) – 54 anni
-Senza Regola (1571-1624) – 53 anni
-Domenicane (1624-1816) – 192 anni
-Agostiniane (1816-1995) – 179 anni si compiranno Mercoledì 14 giugno 1995, giorno seguente la Festa di S. Antonio da Padova, Patrono del Monastero. Per quanto concerne la cronologia storica, invece, rileviamo che dall’ultima notizia fornitaci dal Contarini sul Convento (risalente al 1646), alla “Continuazione delle Memorie” che riprendono dal 1810, intercorrono 164 anni di vuoto totale, impossibili da colmare.

2) Di tali beni, in seguito, con grandi sacrifici, fu possibile recuperate all’Asta Pubblica solo il podere di S. Lorenzo e la casa Fattoria-Foresteria.
Il podere dei Billi, invece fu riacquistato da chi ne era già divenuto possessore.

3) Affinché potesse effettuarsi l’acquisto, concorse, con generosa elemosina di 1200 £, il Padre Salvatore Mazza, fratello della Badessa, commissario generale dei Francescani della repubblica Argentina; il resto fu prestato da Monsignor Vescovo.

4) Suor Rita Urbini di Mercato Saraceno; Suor Caterina Duranti di Rofelle; Suor Luisa e Suor Eletta Pacei, coriste, di Maciano; Suor Maddalena Moretti, conversa, di Pennabilli; Suor Agostina Palmieri, conversa, di Soanne.

VICENDE DI UN MONASTERO: gli altri capitoli
0 – Inizio
1 – Prefazione
2 – Le origini del monastero

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